La tradizionale pratica della "Cerca e cavatura del tartufo in Italia" entra nel Patrimonio culturale immateriale dell'Umanità dell'Unesco
Dal Comitato dell'Organizzazione mondiale per l'educazione, la scienza e la cultura, a Parigi, il sì ufficiale al riconoscimento della candidatura che valorizza una pratica rurale nei numerosi territori tartufigeni italiani. Un iter avviato dall'istanza delle associazioni dei tartufai ai ministeri della Cultura e dell'Agricoltura otto anni fa, fino alla presentazione della candidatura a marzo 2020 da parte della Farnesina.
Con questa iscrizione, annunciata il 16 dicembre 2021, salgono a 15 gli elementi italiani che fanno parte del patrimonio culturale immateriale dell'umanità riconosciuto dall'Unesco.
La Coldiretti ha sottolineato come questo riconoscimento rappresenti un passo importante per difendere un sistema segnato da uno speciale rapporto con la natura, in un rito ricco di aspetti antropologici e culturali. Una tradizione determinante, anche dal punto di vista turistico e gastronomico, per molte aree rurali montane e svantaggiate.
L'arte della ricerca del tartufo - rimarca Coldiretti - coinvolge in Italia una rete nazionale composta da circa 73.600 detentori e praticanti, chiamati tartufai, riuniti in 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (FNATI), da singoli tartufai non riuniti in associazioni per un totale di circa 44.600 unità e da altre 12 Associazioni di tartufai che insieme all'Associazione Nazionale Città del Tartufo (ANCT) coinvolgono circa 20.000 liberi cercatori e cavatori.
Per quanto riguarda la provincia di Modena, la Camera di Commercio ha ricompreso il Tartufo Valli Dolo e Dragone nel marchio Tradizione e sapori già dal 2004, per tutelarne la tipicità. Il deposito del marchio, con relativa stesura del disciplinare, è avvenuto in collaborazione con il GAL, la Comunità Montana dell'Appennino Modena Ovest ed i Comuni di Frassinoro, Montefiorino, Palagano e Prignano che rappresentano l'area di raccolta del prodotto.